La festa della donna?

La festa della donna?

Uno ci prova, a tentare di balbettare qualcosa sulla festa della donna. Ci prova e poi cancella. Riprova e cancella di nuovo. Finché si rende conto che tutto quello che scrive è banale. Solo banalità. Ovvie, scontate, risapute banalità. Ed è strano.

Perché in tutti gli altri ambiti qualcosa di originale si riesce sempre a scrivere. Ma quando si tratta di parlare della festa della donna (ossia delle donne) non c’è nulla da aggiungere. E se ci si pensa non può che essere così.

Perché scrivere significa riflettere e far riflettere. Significa portare all’attenzione qualcosa che non è risaputo, vuol dire aiutare a soffermarsi su aspetti che altrimenti rischierebbero di non essere percepiti o considerati. Mentre tutto ciò che circonda il mondo femminile, anche se spesso non è così pirotecnico o così volgarmente esibito, è comunque individuabile senza difficoltà.

Per cui, se da un lato sulla donna “nunquam satis”, ossia non si riuscirà mai a dire abbastanza, dall’altro è perfino inutile cercare di tratteggiare dei contorni così nitidi.

Ecco allora che da questa consapevolezza nascono le diatribe: sì, è giusto dedicare una giornata per festeggiare “le femmine” (come sono chiamate fin dalla scuola dell’infanzia) oppure no, è superfluo, è perfino controproducente. Certo, sembra paradossale che, quando si tratta di decretare una festa, come in ogni ambito, ci si sia chi sia favore e chi sia contrario, ma nessuno, nemmeno quelli che sono contrari, lo sono per la classica ragione per cui non si vuole istituire una giornata, ossia: “Non se lo meritano, non è giusto”. Tutti d’accordo, dunque.

Lontani i tempi in cui venivano liquidate con il motto: “Le donne debbono tenere in ordine la casa, vegliare sui figli e portare le corna” o, per fare un passo indietro: “Porta dell’inferno”, “Cosa necessaria all’uomo”. Sì, ma sarebbe un po’ troppo sbrigativo.

Parrebbe dunque un mondo ideale dove la donna ha già raggiunto ogni obiettivo e ogni disparità, ogni discriminazione, ogni distanza dall’uomo paiono retaggio anacronistico. Sappiamo bene quanto nella ferialità di ognuna, la trama di ogni biografia sia intessuta di trame che segnano la distanza dall’essere uomo.  

In America il presidente Obama decretò il Lilly Ledbetter Fair Pay Act contro la discriminazione salariale. In Italia come siamo messi? E, ancor prima, non c’è da chiedersi perché, a partire dalle quote rosa, ci si debba mettere attorno a un tavolo per concedere ciò che invece bisognerebbe riconoscere? Per donare ciò che andrebbe constato? Non vale sono nelle enunciazioni sui dati macroscopici.

Basta partire dal lessico per rendersi conto. Ve lo ricordate il monologo della Cortellesi?

Un cortigiano è un uomo che vive a corte. Una cortigiana? una mignotta. Un uomo di strada è un uomo del popolo. Una donna di strada? Una mignotta. Un uomo disponibile è un uomo gentile e premuroso. Una donna disponibile? Una mignotta. Un uomo con un passato. Un uomo con un passato è un uomo che ha avuto una vita non particolarmente onesta ma con una storia che vale la pena di raccontare. Una donna con un passato? Una mignotta. Uno squillo: il suono del telefono. Una squillo? Non la dico nemmeno. Uno zoccolo è una calzatura da campagna. Una zoccola invece?”.

 

Matteo Salvatti